Emergenza ospedali: il collasso della dignità nella sanità campana

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L’allarme suona da troppo tempo. Codici deontologici dimenticati. La sanità campana sta morendo, strozzata dalla burocrazia, dal vittimismo e dalla totale mancanza del rispetto per la dignità umana.

L’impressione è sempre la stessa: non ci si rende davvero conto della gravità di una situazione a causa di un dannato vizio che vige tra gli amministratori comunali. Molti di loro lasciano in sospeso disastri sociali per il semplice motivo che è sempre stato tutto così com’è e che quindi nessuno si lamenterà più di tanto.

I giornalisti pubblicheranno la loro denuncia, i sindacalisti faranno la loro parte, i cittadini si danneranno a vuoto, e tutto, completamente tutto, resterà identico a prima, senza che nessuno paghi mai per nessuna colpa. Già in precedenza, attraverso questa rubrica, fu denunciata l’emergenza di intervenire con dei piani mirati e precisi sulla malasanità campana. In molti risponderanno dicendo “mancano i fondi”, ma qui fortunatamente ci viene in aiuto l’osservazione scientifica degli eventi che, in modo inconfutabile, ci dimostra quanto non sia soltanto un problema di fondi. Un problema annoso e preoccupante ma che ci confonde e ci distanzia dal non notare che è anche, e forse soprattutto, una questione di annientamento del codice deontologico sanitario.

Partiamo dai fatti degli ultimi giorni: i posti letti negli ospedali mancano, la parte sana della nostra sanità se ne lamenta da tempo. Medici impegnati che già da anni denunciano l’incuria di un settore che invece di migliorare, decade sempre di più in una condizione di disagio imbarazzante, una ridicolaggine se consideriamo il fatto che siamo nell’anno del Signore duemilatredici. Qualche giorno fa qualcuno ha fotografato una scena assurda. Presso l’ospedale San Giovanni Bosco, tutte le barelle sono occupate, un paziente necessita dell’assistenza, in qualche modo il malato va visitato, cosa fare? I corridoi sono affollati, la gente soffre, il rumore dello struscio degli zoccoli bianchi di infermieri a lavoro si confonde con il vocio della gente schifata dallo stato di incuria in cui verte l’ospedale.

Poi “finalmente” la soluzione: “Stendiamolo sulla scrivania”, sulla scrivania, proprio sulla scrivania. E’ facile fare polemica quando non si vive dall’interno una questione difficile come quella che vivono i “poveri” medici. Poverini, hanno già tante cose da pensare, sono già tante le cose da risolvere ed è già tanto che il paziente è stato visitato. La coscienza è pulita, l’adempimento del proprio mestiere è stato espletato. Qui subentra nel gioco un’altra questione: la rabbia. E’ possibile che tra centinaia di opzioni non ci sia una soluzione da mettere in atto per evitare che accadano situazioni del genere? E’ stato davvero fatto tutto il possibile dall’alto degli uffici amministrativi prima di arrivare alla scena mortificante di un uomo in jeans, spogliato della sua maglia e della sua dignità, costretto a stendersi su una scrivania per essere visitato?

Ho avuto personalmente la sfortuna di essere osservatore fin troppo partecipante di una malasanità nostrana. Per mesi ho svolto una ricerca involontaria, di quelle che un sociologo dovrebbe fare in una normale condizione lavorativa. Nel caso personale, quell’indagine fu realizzata poiché dovevo passare giornate intere a vegliare su mio padre gravemente malato, quando era ricoverato presso l’ospedale Monaldi, chiamato anche ospedale dei colli. Ricordo in quel periodo l’indignazione più totale nel notare una cosa che probabilmente apparirà politicamente scorretta ma pubblicabile in questa riflessione, poiché nessuno potrà mai osare di imputarmi per calunnia. La verità benigna dei fatti non è mai imputabile.

Erano tanti gli uomini del personale che si impegnavano a fare davvero bene il proprio mestiere, sia tra gli infermieri che tra i medici, così come però, registrai che ci sono troppi impiegati che espletavano le loro funzioni con arroganza, disinteresse e presunzione, bruciando totalmente il codice deontologico sanitario. Una variabile quasi costante era la mancanza di rispetto. Un concetto apparentemente retorico, ma che nei fatti non lo è. La reazione a catena che si genera quando manca il rispetto è devastante e le conseguenze si ripercuotono sulla qualità dei servizi offribili alla collettività. I pazienti sono trattati come oggetti di passaggio e i malati terminali sono numeri che si stanno consumando e che ben presto verranno cancellati.

Va denunciato anche e soprattutto questo: l’assenza del rispetto per il paziente. L’assenza della considerazione emotiva dei casi. Al Monaldi ci sono vari medici che trattano gli uomini come fastidi clinici di cui liberarsi. E’ assente l’ascolto, la comprensione e la cura per la dignità umana. E’ anche questo tipo di trattamento all’interno dell’ambito medico che innesca meccanismi sociali sbagliati. Un concatenamento di menefreghismo che sfocia nelle forme massime di degrado. Un degrado che rende normale e sorpassabile la scena di un uomo steso sulla scrivania per essere visitato. Se poi nel cervello di quell’uomo ci sia la vergogna del momento oppure il profondo dispiacere per essere trattato come un’animale, beh quello non conta. Non importa a nessuno. Ciò che conta è finire il turno, più tardi monterà a lavorare qualcun altro. Saranno problemi suoi.
(Fonte foto: Rete Internet)

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