Il Parco Tortora Brayda: le “barriere” che non lo fanno decollare

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La struttura che ha un grande potenziale di sviluppo non decolla a causa dei limiti strutturali e non solo.

Abbiamo letto con interesse la riflessione di Gianluca Di Matola sul Parco Tortora Braydaapparsa recentemente sulle pagine di questo giornale. La denuncia di Di Matola è pienamente condivisibile, soprattutto per la parte che riguarda le barriere architettoniche che, di fatto, escludono i diversamente abili dall’utilizzo della struttura.

La struttura di cui parliamo, nel suo complesso (parco naturalistico unito alla villa storica), è sicuramente di grandissimo pregio, probabilmente unica in tutto l’hinterland napoletano. Per questo motivo dovrebbe essere il fulcro intorno al quale rilanciare lo sviluppo di Sant’Anastasia,attraendo anche cittadini dai comuni viciniori. Tutto ciò si esalta ancora di più per la sua vicinanza con il santuario di Madonna dell’Arco, meta di migliaia di pellegrini ai quali purtroppo si offre molto poco per permanere sul nostro territorio. In aggiunta, il Parco è la naturale porta di ingresso del Parco Nazionale del Vesuvio del nostro versante.

A fronte di tutto ciò il Parco è ben lontano da assurgere a questo ruolo, sia per lo stato in cui versa attualmente che per le idee confuse che riguardano il suo futuro.
Innanzitutto stupisce l’esistenza di barriere architettoniche in strutture di recente progettazione come, ad esempio, la parte nuova del parco (quella prospiciente su via Romani). Significa che anche nei professionisti che curano questi progetti non è maturata quella sensibilità che invece è diffusa e manifesta in altri paesi civili.
A questo si aggiungono le seguenti ulteriori considerazioni.

Lo spirito pressappochista dell’ex sindaco Esposito di aprire il parco con lavori di ristrutturazione raffazzonati servì evidentementeper accreditarsi meriti, incurante invece di gettare le basi per una sua sana e duratura gestione. Con l’aggravante di aver permesso di stravolgere completamente il progetto iniziale della parte nuova del parco. Il progetto originario prevedeva, infatti, l’affidamento ad un gestore del chiosco realizzato nel progetto e la cura degli annessi bagni pubblici (nonché l’onere dell’apertura e chiusura del parco e la sua vigilanza).

Purtroppo così non è stato perché questa idea iniziale è stata completamente stravolta dalla costruzione di un ristorante abusivosu suolo pubblico da parte del gestore che si aggiudicò la gara (per circa 700 € al mese), abusosolo in parte rientrato. Resta il fatto che quei bagni “pubblici” oggi sono diventati privati, utilizzabili solo per gli avventori del bar-ristorante. I comuni cittadini,invece, debbono utilizzare i bagni chimici, situati nel parco antico, che come tutti sanno sono accettabili solo per situazioni di emergenza e transitorie.

Da questo punto di vista allora, l’utilizzo del parco viene precluso non solo alle persone diversamente abili ma anche, ad esempio, a signore che accompagnano i loro bimbi nel parco o a chiunque abbia la necessità di utilizzare la toilette. Per non parlare poi della situazione di "incompiutezza" delle aiuole e dei viale
Tornando poi alla questione del sopra citato ristorante, nessuno nega che lo sviluppo passi anche per questo tipo di iniziative che creano anche opportunità di lavoro. Ma perché realizzarlo su suolo pubblico, per giunta incurante delle leggi? Cosa avrebbe ostato invece realizzarlo su suolo privato con regolare licenza? Per inciso, la legge 21 che ha istituito la zona rossa non vieta affatto questo tipo di costruzioni ma limita le sole costruzioni residenziali.

La seconda ed importante questione riguarda la ristrutturazione della villa, per la quale in anni recenti è stato anche assegnato un apposito finanziamento. Da tempo si è creata una situazione di stagnazione perché nessuna amministrazione riesce ad assumersi la responsabilità di applicare le sentenze emerse dopo le annose contrapposizioni legali nate tra il Comune e i custodi che, a vario titolo, occupano parte della villa.

Infine, da manifesti apparsi recentemente sulle mura della città abbiamo appreso di un bando comunale, promosso dalla pro-Loco, denominato “orti sociali” per l’assegnazione di piccoli appezzamenti di una zona del Parco ad uso di orti. Chiariamo subito che si tratta di una lodevolissima iniziativa che sottoscriviamo pienamente nel suo spirito. C’è da chiedersi però sevalga la pena utilizzare proprio l’area pregiata del parco per questo scopo e se, invece, non sia più opportuno recuperare altre zone di proprietà comunali dismesse. Tra queste ci viene spontaneo indicare, ad esempio, l’area su cui doveva sorgere l’isola ecologica in zona Boschetto (quindi poco distante dalla parco stesso), o altre aree idonee a questo scopo.

La perplessità di realizzare orti nel parco nasce dal fatto che in questo modo si abbandona l’idea di un unico ed organico progetto di parco pubblico che, ripetiamo, per la sua vastità e qualità di alberi pregiati e per villa d’epoca annessa, avrebbe scenari di sviluppo veramente notevoli per i nostri territori.
Associazione civica neAnastasis

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