LA MALATTIA DI NARCISO

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Il nostro è un tempo di individualismo, dove vince l’egoismo anche quando si vivono esperienze importanti. Ma forse, non tutto è perduto:

Quindici giorni fa avevo parlato di una metaforica “tenda civile”, che potesse raccogliere i rappresentanti delle istituzioni, le associazioni, i cittadini, le scuole, le parrocchie affinchè si potessero creare le basi per un risveglio educativo a Somma, così come sta avvenendo in tanti centri cittadini della provincia e nella stessa città di Napoli.
Come era da aspettarsi nessun segno si è visto all’orizzonte, nè di simpatia, nè di aperta avversione: l’indifferenza è la più chiara forma di marginalizzazione. I pochi lettori che hanno scritto un commento esprimevano chiaramente sfiducia intorno all’idea di una chiamata alla cooperazione, perchè il tempo che viviamo è eminentemente un tempo di individualismo nel quale ciascuno ha bisogno di visibilità, anche quando essa non serve a niente.

La malattia di Narciso contagia tutti i settori, non solo quelli a cui va immediatamente il nostro pensiero come quello televisivo, delle comunicazioni sociali, quello politico, ma anche gli ambiti scolastici, religiosi, associativi.
Da cosa è caratterizzata la malattia di Narciso?
Secondo la versione del mito che ne dà Ovidio, Narciso è un giovane che non sa amare; l’indovino Tiresia preannuncia ai genitori del bambino: “Il pargolo vivrà a lungo se non conoscerà se stesso”. Il giovane invece s’innamora della sua immagine riflessa nella sorgente e per rincorrerla muore nell’acqua, vittima della sua solitudine. Anche la povera Eco che tanto l’aveva amato, disperde se stessa negli abissi della disperazione, a tal punto che di lei solo una voce triste, una cantilena notturna rimane.

Il bellissimo mito sembra creato apposta per definire i nostri giovani, ma anche per descrivere i nostri “adulti”.
La malattia del bel Narciso individua nei rapporti centrati sul proprio Sè il motivo determinante della vita sociale. Il giovane sembra dire: “Tutto ha origine con me, tutto si svolge e si muove tenendo me come centro di gravità e tutto finisce con la mia fine”. Così il passato, di cui far memoria, è solo quello che riguarda l’esperienza personale, mentre il futuro può avere fascino solo se segnala i fasti e i risultati brillanti del soggetto che li progetta per sè. L’unico tempo che è veramente importante rimane il presente, svincolato da ogni legame con un prima o con un dopo, perchè nel presente ci si può specchiare tutti interi, senza la zavorra di un Io che deve ancora crescere, nè di un Io che deve proiettarsi in avanti per vedersi evolvere.

In questo modo diventano prioritari la gratificazione immediata, l’applauso, la dipendenza affettiva e il giro di giostra che gli altri devono compiere costantemente per compiacere l’egoismo del Narciso di turno.
I giovani anche quando vivono esperienze importanti di volontariato, quando si donano per una causa di solidarietà, anche quando ottengono brillanti risultati a scuola, perfino quando pregano o partecipano alla vita religiosa possono diventare vittime dell’esasperato bisogno di una realizzazione personale che esclude ogni contatto cooperativo.
C’è però la possibilità di uscire da questo tunnel; non è detto che tutto sia perduto; tante esperienze ci indicano che le cose non stanno sempre così.
Ne riparleremo la prossima volta.