E Giorgio Caproni “scoccò” i suoi “puntuti” epigrammi anche contro Eugenio Montale…

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Otto Dix, Signore che lavorano in strada

La letteratura epigrammatica è un capitolo importante, e poco studiato, della letteratura italiana. Giorgio Caproni ha scritto un notevole numero di epigrammi: egli è riuscito a conservare la mordacità propria del genere anche nel testo “lungo” che è stato proposto al commento degli studenti. Montale bersaglio degli epigrammisti.

“La legge è uguale per tutti (Farabutti!) “ ( G. Caproni)
“Bisogna rubarne molti/ per essere assolti” ( M. Maccari)
“L’ha detto anche il senatore Agnelli/ che siamo tutti fratelli” (M.Maccari)

La poesia epigrammatica, la letteratura e la pittura umoristico-satirica: questo è l’orizzonte entro il quale vagano da sempre le mie letture. I testi di Marziale, di Giovenale, di Gogol, le sferzate di Leopardi, la mordacità napoletana del Marchese di Caccavone e di Francesco Proto Carafa, duca di Maddaloni, le “trafitture” di Longanesi e di Flaiano, i “ritratti” di Daumier, di Grosz, di Otto Dix costruiscono “maschere” eterne: quelle “maschere” siamo noi, sono le persone in mezzo alle quali viviamo. In autunno pubblicherò, deis iuvantibus, una “galleria” satirica vesuviana: testo e disegno, partendo ovviamente da me: mi sto divertendo a prepararla. Agli epigrammi Caproni si dedicò, con continuità, negli ultimi anni, immergendo nell’ ironia livornese il lessico incisivo e potente e i versi che diventavano sempre più asciutti e più brevi, forse perché, dice Gino Ruozzi, egli aveva capito che la verità sta in uno spazio ridotto, o probabilmente in nessuno spazio. Non a caso fu finissimo traduttore, tra l’altro, anche di un libro assai amaro, il romanzo “Morte a credito” di L.F. Cèline, e si dichiarò sempre ammiratore di una delle “bibbie” della letteratura umoristica, “Bouvard e Pècuchet” di Flaubert: di Flaubert tradusse “L’educazione sentimentale”. La poesia proposta al commento degli alunni fa parte di una raccolta, “ Res amissa”, pubblicata postuma, nel 1991: è, come i ragazzi hanno visto, un testo che non ha la brevità tipica degli epigrammi: lo “allunga” l’elenco delle offese che l’uomo sta arrecando all’ambiente, e la lunghezza serve a preparare la battuta finale, la “punta” inattesa, il “capovolgimento”: se l’uomo non ci fosse, la terra tornerebbe bella. Questi versi confermano il “ritratto” dell’amico poeta disegnato da Pasolini: “ A Caproni / Anima armoniosa, perché muta, e perché scura, tersa:/ se c’è qualcuno come te la vita non è persa.”.
A Caproni non piaceva la passione italica per la retorica delle celebrazioni: “ I morti per la libertà/ Chi l’avrebbe mai detto./ I morti // per la libertà ./ Sono tutti sepolti./ “. Sono sepolti i morti, ed è sepolta con loro la libertà per cui sono morti. E la progressiva sfiducia nel potere evocativo della parola poetica lo spinse a scrivere : “Buttate pure via/ogni opera in versi o in prosa./ Nessuno è mai riuscito a dire / cos’ è, nella sua essenza, una rosa.”. Anche questo epigramma fa parte di “Res amissa”: è probabile che contenga un riferimento alle riflessioni che su quel tema Umberto Eco aveva sviluppato dieci anni prima nel romanzo “Il nome della rosa”. In “Res amissa” ci sono alcuni epigrammi, assai mordaci, sull’avanzata trionfante dei parolai stolti “Tagliando corto: / da un pezzo me ne sono accorto/ La ragione è sempre/ dalla parte del torto” e sugli insopportabili “saputi”: “ Si licet, un consiglietto./ Non ripetete sempre / quelle medesime cose/ che non avete mai detto:” Il pessimismo degli ultimi anni il poeta lo condensò in una brevissima “sentenza”: “ La legge è uguale per tutti. / (Farabutti !) “ Caproni fu un convinto ammiratore delle prime raccolte di Eugenio Montale, ma a poco a poco l’ammirazione si annacquò, fino a dissolversi del tutto. Quando venne pubblicata “Satura”, Caproni scrisse: “ Dopo “Satura” / Montale, ogni scherzo vale” e infine paragonò il poeta ligure a un ciottolo corroso, e definì “liscosa” la sua poesia: piena di lische di pesce, senza polpa, fastidiosa.
Anche altri poeti scagliarono “epigrammi” contro Montale. Leonardo Sinisgalli scrisse che il collega componeva “poesiole/ per gli infilascarpe”, mentre il nostro Luigi Compagnone cercò di essere più elegante: “ Un buon poeta? / Così, su due piedi, in generale,/ direi Montale”. Anche Montale tentò la via dell’epigramma: ma forse gli mancavano, per essere un buon epigrammista, due requisiti essenziali: la brevità e l’arte del “rovesciamento” inatteso e improvviso: la sua ironia era discorsiva, tendeva alla satira. Alla prossima.