La “Radio Maria” del 1767: il Vesuvio si scatena per punire il re di Napoli che ha osato cacciar via dal Regno i Gesuiti…

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A partire dall’eruzione del 1631 i teologi “della catastrofe” videro nell’ira fiammeggiante del Vesuvio l’immagine dell’ira di Dio che punisce i peccatori. Nel 1767 i peccatori erano i napoletani tutti che avevano permesso a Tanucci di decretare l’espulsione dei Gesuiti dal Regno. Ma San Gennaro risolse ogni problema.

 

La teologia della catastrofe, o delle “piaghe d’Egitto”, ha suggerito a un frate, che fino ad ieri parlava dai microfoni di “Radio Maria”, di spiegare i terremoti di Amatrice e di Norcia come la punizione inflitta da Dio al popolo italiano, colpevole di aver accettato, senza ribellarsi, la legge sulle unioni civili. Ovviamente, un uomo di Chiesa che dice queste cose non merita alcun rispetto: non è facile trovare parole adatte per condannare tanta viltà, tanta volgarità. E la sospensione decretata da “Radio Maria” non risolve il problema, che ha radici antiche. Giova ricordare che a partire dall’eruzione del 1631 i teologi “della catastrofe” hanno scelto più volte i Vesuviani come bersaglio, trasformando cenere e lava in segni dell’ira di Dio scatenata dalla corruzione morale delle genti che abitavano intorno al vulcano.

Il 1767 fu un anno terribile per i Gesuiti. Carlo III li espulse dalla Spagna e Tanucci, entusiasta, spiegò a Ferdinando IV che era obbligato a seguire l’esempio del padre, e dunque a cacciar via dal Regno di Napoli la Compagnia di Sant’ Ignazio. Non è questa la sede per illustrare le molte ragioni del violento attacco che Portogallo, Spagna, Francia e Regno di Napoli condussero  contro i Gesuiti. Ci interessa ricordare alcuni aspetti della vicenda napoletana, che Domenico Ambrasi ha ricostruito attraverso le lettere che Tanucci inviava con assiduità a Madrid, perché Carlo venisse meticolosamente informato di ciò che succedeva a Napoli. Il 12 maggio del 1767 Tanucci comunicò a Carlo che il Papa, informato dell’imminente espulsione dei Gesuiti dal Regno di Napoli, li aveva autorizzati a vendere case, argenti e preziosi: “…nella via degli orefici una prodigiosa quantità d’argenti dei gesuiti si va vendendo per squagliarsi e farsene moneta”: e non è una bella cosa, commenta il ministro: quell’argento è stato dato dai fedeli “per il culto divino”, e non perché  venga portato “fuori dallo Stato”. Tanucci racconta a Carlo che i Gesuiti napoletani vengono immediatamente e minuziosamente informati  sulle riunioni del Consiglio di Stato da Giacomo Milano, marchese di San Giorgio, che è membro del Consiglio, ma anche “terziario” gesuita.

Non era facile espellere dal Regno i Gesuiti: ce n’erano trecento nella sola Provincia di Napoli, e novecento tra la Sicilia e la Calabria;  molti magistrati e funzionari erano stati loro alunni; e infine, Tanucci, machiavellicamente esagerando, non escludeva che i  Padri di Sant’Ignazio, che da un secolo e mezzo avevano la cura spirituale dei carcerati della Vicaria, potessero scatenare contro Ferdinando IV e contro lo Stato la “gente facinorosa” ospitata nelle celle. Ma Tanucci non si arrende: a settembre tutto è pronto per portare a termine l’operazione: i soldati che accompagneranno i  Padri fuori del Regno sono macedoni, svizzeri e valloni: in mezzo a loro non c’è un solo cattolico. Il 22 settembre anche San Gennaro, scrive Tanucci, si schiera contro la Compagnia: il Sangue del Santo si scioglie in soli tre minuti.

Ma il 14 ottobre muore a Vienna Giuseppa, la figlia dell’imperatrice Maria Teresa che era la promessa sposa di Ferdinando, e che il 15 sarebbe partita per  Napoli. Non basta: il 19 di ottobre il Vesuvio incomincia a eruttare di nuovo cenere e lava: il popolo del Mercato circonda in piazza del Carmine la carrozza del re che sta tornando da Portici e tutti gridano – “incondite grida che assordavano l’aria” – che l’eruzione è “un castigo di Dio” per la decisione di espellere i Gesuiti. Il re risponde che non lo ha mai nemmeno sfiorato questo “empio” proposito. Il giorno dopo sul “fianco” del vulcano si aprono quattro bocche che con “quattro grandi fiumi di vivissimo fuoco” minacciano direttamente la città di Napoli. Il  Tanucci racconta a Carlo che i Gesuiti fomentano  con “voci menzognere” le paure dello “stolto popolaccio”, ma si dimentica di dirgli che ha mandato  Carmine Ventapane, medico assai noto, al Gesù Nuovo, per esortare i Padri a non infiammare la fantasia dei “perturbatori”: in realtà, il ministro  teme – è un timore che cresce di giorno in giorno – che “il popolo fanatico, e forse occultamente sedotto”  giunga ad attentare alla vita del sovrano e alla sua. E “pe’ gghiont’’e ruotolo” la serva di Dio, Maria Maddalena Sterlich,  venerata da tutto il popolo come già santa, scrive al re che la morte della promessa sposa e l’eruzione sono segni dell’ira di Dio: Dio sta dalla parte dei Gesuiti.

Ma il domenicano Padre Rocco, anche lui  amato da tutti i Napoletani, si schiera con Tanucci: guida la processione dei fedeli che portano la statua di San Gennaro al Ponte della Maddalena, evita eccessi, supplica il Patrono e il Patrono  placa a poco a poco il vulcano.  Tanucci va dal re con il decreto di espulsione, gli chiede di firmarlo, il re dice di no, Tanucci gli ricorda che  suo padre Carlo vuole che i Gesuiti siano espulsi, Ferdinando ribatte che se suo padre vuole così, se lo firmi lui, il decreto. Tanucci, allora, si affida a monsignor Latilla,  che era stato vescovo di Avellino, e che lui aveva scelto come confessore del re, perché ne controllasse parole  e pensieri. Il Latilla riesce a convincere  Ferdinando, che infine firma, anche se di malavoglia. Un cronista gesuita  scrisse che due mesi dopo il Latilla morì, fulminato da colpo apoplettico: una curiosità: il monsignore, già vescovo di Avellino, era affiliato alla Massoneria e, come scrive il Mincuzzi, aveva tenuto il discorso per l’insediamento del Gran Maestro principe di San Severo.

Mentre a metà novembre i Gesuiti andavano via dal Regno, Tanucci raccontò a Carlo che la Sterlich non avrebbe voluto scrivere quella lettera a Ferdinando: ma le pressioni della Curia napoletana  e di quella romana erano state troppo forti perché lei potesse resistere…