Pizze sontuose, musica, balli, colori : il ristorante “Il Principe” mette in scena la festa per le “Vie del gusto”

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La serata si è svolta in un clima di ragionato entusiasmo e di genuina amicizia: una festa alimentata dalle esibizioni degli artisti, dalla organizzazione del ristorante intitolato al “principe” Totò, dalla musica, dal menù, e, soprattutto, dalla pizza lavorata alla perfezione dai Maestri dell’impasto e del forno.

 

Prima di tutto il luogo. La sala del ristorante “Il Principe” è luminosa, arredata con sobria eleganza, è un’accogliente platea di fronte al palcoscenico dominato dal forno, davanti al quale si intrecciano i gesti misurati e magistrali dei pizzajuoli e i colori della regina della serata, la pizza napoletana. Nel ristorante che la famiglia Russo ha voluto consacrare all’unico e solo principe di Napoli, Totò, Totò , sornione, “sfuttente”, osserva lo spettacolo da decine di fotografie che coprono le pareti: Totò nelle vesti dei suoi personaggi, ma sempre e soprattutto Totò, perché a questo immenso principe di Napoli toccò un privilegio:  mentre gli altri attori hanno dovuto e devono adattarsi ai personaggi, nel caso di Totò sono i personaggi che si adeguano a lui, e noi li ricordiamo tutti sotto un solo nome: Totò. Così è per la pizza: variano gli ingredienti e i nomi, ma la pizza resta sempre sé stessa, resta sempre  la sola padrona e “principessa” del nostro gusto.

Le pizze del “Principe”, quasi consapevoli del fatto che verranno consumate sotto gli occhi dell’immenso artista, vanno gioiose incontro al loro destino, liete si distendono sui taglieri, dopo aver sistemato con eleganza gli sfavillanti colori degli ingredienti e la musica dei profumi: sanno, le pizze, che Totò non amava gli eccessi. E mentre osservo il viaggio delle pizze dal banco ai tavoli ricordo la scena del film “San Giovanni decollato”, in cui Totò difende la sua pizza e la sua bottiglia di vino dall’assalto del guappo Esposito, che è venuto a chiedergli – a imporgli- di concedere la mano di sua figlia a un amico di lui, del guappo. E ricordo la voluttuosa Sofia Loren, pizzajuola nell’ “Oro di Napoli”, e allo sconcio gioco di rima tra “pizze” e… il seno della Loren in cui si avventurò Enrico Caputo nella canzone “Sophia”, giustamente dimenticata. E racconto agli amici come nasce proprio nelle pizzerie e cosa significa l’espressione “chievarsela a libretto”, “piegarsela a libretto”. Dico anche per quali motivi, a parer mio,  i pittori napoletani non hanno dedicato quadri importanti alla pizza: ma è un argomento che merita di essere trattato a parte.

E’una serata festosa: l’entusiasmo vibra intenso come il prosecco del Blandcafé, irrompe con l’elegante e piena compostezza che connota il panettone proposto dallo stesso Blandcafè: questo entusiasmo pervade movimenti e parole a tal punto che la malinconia scivola via perfino dalla poesia di Raffaele Viviani,“’O pizzajuolo”, letta magistralmente da Carmela D’Avino, direttrice del nostro giornale.  Alimentano l’entusiasmo le incursioni di un malizioso Pulcinella, interpretato con passione da Angelo Iannelli, e la voce di Anna Marigliano, che “arrecrea” il pubblico con la sua tessitura preziosa e con finissime “letture” delle canzoni classiche napoletane. E’ fatale che il fervore della gioia e dell’entusiasmo si esprima nella danza: siamo pur sempre gli eredi degli Osci e dei Greci. E danza è.

Anna Marigliano innesca una crepitante sequenza di ritmi sudamericani, e alcune signore, a dimostrare quanto sia franca e cordiale la relazione di amicizia in cui le pizze del “Principe” stanno stringendo tutti i presenti rispondono all’ impulso dei ritmi, ballano con sovrana eleganza, con perfetta sintonia, con una straordinaria sapienza di gesti: una sapienza che sollecita argutamente, deliziosamente, ogni parte del corpo. Noi tutti ammiriamo incantati. Le signore danzanti dimostrano – e di questo le ringraziamo – che il ballo è veramente un rito sacro in onore delle dee della bellezza e dell’armonia. I loro passi e i loro gesti, così come altri “momenti” della serata, diventano forme definitive grazie all’arte di due Maestri dello “scatto”, Juna e Marco:  quando si organizzerà una mostra retrospettiva di fotografie scattate lungo i percorsi delle Vie del gusto, un intero settore verrà dedicato alle immagini di Sonia Sodano, sfavillante presentatrice e abile tessitrice delle complesse trame di queste serate, che Carmela D’Avino disegna con mano ferma e felice e alle quali Giovanni Sodano offre il contributo della sua scienza grafica.

A me capita di gustare la pizza mentre ascolto il prodigioso mandolino del Maestro Ferdinando De Simone, accompagnato dalla chitarra di Gino Conte: è un’emozione impetuosa: in un attimo comprendo il senso profondo di alcune pagine dedicate da Ferdinando Russo e da Salvatore Di Giacomo a un rito mistico:  mangiare un piatto della cucina napoletana in un ristorante napoletano ascoltando la musica della posteggia.

Alla birra artigianale Okorei, che ha accompagnato la degustazione di fritture e di pizze, dedicheremo un articolo a parte, anche per ricordare che la coltivazione del luppolo e la produzione e il consumo della birra non sono estranei alla storia dell’alimentazione del Vesuviano e della Campania Felice. In questo storia un capitolo corposo e succoso è riservato alla mela annurca, che la pasticceria Alaia “usa” per conferire ai suoi dolci un tocco di sapore raro e nello stesso tempo classico, per rendere un assai piacevole omaggio alle tradizioni di Somma, e per confermare, nel modo più significativo, che questa è la strada che devono percorrere la  cultura agroalimentare e l’ arte gastronomica del Vesuviano.