Salvate i soldati Spina

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Le foto di Mario e Sebastiano Spina (foto L. Toccafondi)

No, non si tratta di reclute maltrattate dal nonnismo e neanche di un B movie ispirato al famoso film di Spielberg ma la storia dimenticata di due figli di San Sebastiano al Vesuvio, abbandonati all’anonimato della segnaletica stradale e all’oblio del tempo che passa e che cancella ogni traccia, ogni ricordo del loro sacrificio. FOTO

Sebastiano Spina, il primo da sx (foto L. Toccafondi)
Sebastiano Spina, il primo da sx (foto L. Toccafondi)

I due fratelli Spina, proprio come quelli del film americano sono morti durante l’ultimo conflitto mondiale, si chiamavano Sebastiano (classe 1918) e Mario (classe 1922) il primo morto sul fronte interno per un incidente automobilistico presso Cagliari, nel giugno del ’42 e l’altro cade invece sul campo, in Russia, il 2 marzo del 1943, in territorio ucraino a Belaja Zercov, dove restano le sue spoglie mortali.

Mario Spina in una cartolina inviata alla famiglia (foto L. Toccafondi)
Mario Spina in una cartolina inviata alla famiglia (foto L. Toccafondi)

Del maggiore dei due fratelli sappiamo ben poco, la sorella, Rosa Spina è venuta a mancare lo scorso mese di giugno poco dopo averci raccontato la triste storia della sua famiglia e di lui non restano che poche e silenziose foto ma di Mario abbiamo un esiguo e toccante carteggio che ci riporta alla semplicità della persona e di quei tempi quando, oltre agli affetti familiari, il pensiero unico era rivolto, per nostalgia e per necessità, alle cose della terra, ai piselli e alle fave da piantare e agli animali della stalla: “… la campagna come si porta, se si porta bene mi fate sapere se avete messi i piselli mi fate sapere se avete messe le fave …” (lettera ai genitori del 17/2/1943) “… mi fate sapere se avete ammazzato il maiale quest’anno, mi fate sapere se abbiamo il vitello, se sta bene, non ho più che dirvi …” (lettera ai genitori del 5/2/1943).

La sofferenza per le ferite (Mario fu ricoverato una prima volta nel luglio del 1942 e nuovamente ferito nel 1943, già in territorio ucraino) e le condizioni dure del fronte russo trapelano “… cari, io non ve lo vorrei far sapere ma intanto meglio che lo sapete, io mi trovo all’ospedale in questo momento, ma state senza pensieri che è una cosa di poco, sono stato ferito vicino alla gamba e fra 7/8 giorni sono di nuovo come prima …” (lettera del 5/2/43) “… io sono ancora all’ospedale e sto meglio, io mi credevo che in pochi giorni si guariva e invece devo stare molto tempo, state senza pensieri, non fa niente che passo un po’ di tempo, tutto passerà …” (lettera del 17/2/43) tra quelle parole scritte su un ormai consunto pezzo di carta, leggiamo una richiesta muta di aiuto, come chi vorrebbe tornare alla propria terra madre e sfuggire alle atrocità della guerra e che suo malgrado deve mantenere un rigore militare pur sperando ancora di tornare: “… io sto più allegro perché mi hanno detto i tedeschi che quando sto bene vengo in Italia e vado di nuovo a Imperia. Cari, come credo, il mese di Marzo sono a casa …” (lettera del 5/2/43, morirà meno di un mese dopo). Insomma, uno spaccato dimenticato di ciò che è accaduto e di quello che eravamo “… quando mi rispondete, dentro non mettete niente perché se lo prendono, il pacco non lo fate perché si perde come si sono persi tutti …” (lettera del 5/2/43).

Caduti sansebastianesi in Russia
Caduti sansebastianesi in Russia durante la II guerra mondiale

Altri tempi dove si pensava alla campagna e non alle chat sui social; per carità! Lungi da noi esaltare nostalgicamente la guerra e quello che portò a questo sciagurato Paese ma il contrasto tra quelle lettere di soldato semplice e gli emoticon che mi scorrono davanti agli occhi di fortunato cittadino del 2016, stridono in me come una puleggia poco oliata e mi turbano a tal punto da commuovermi davanti al cospetto di tanta e universale semplicità.

Penso al mitragliere Mario Spina di San Sebastiano, del 58° reggimento di fanteria e a suo fratello Sebastiano, fante del 46°, penso a quelle pellicole di guerra che da sempre ci hanno lavato il cervello mostrandoci una guerra eroica, emozionane e asettica, un videogioco dove eroi a stelle e strisce fanno saltare per aria uomini come fantocci, dove abbattono esseri inanimati o inumani e questo solo perché nemici e per questo meritevoli della morte e dell’annullamento, perché qui come altrove la propaganda non è ancora finita e dura ancora dalla notte dei tempi, dall’assedio di Troia alle crociate, dalle guerre napoleoniche fino ai conflitti mondiali e ai giorni nostri, dove il nemico è sempre più brutto e cattivo. E penso a loro, penso a loro che hanno perso la vita e gli affetti in una guerra che non gli apparteneva o che gli avevano imposto come atto vitale per la nazione.

Penso a quei due giovani che nel fiore degli anni sono andati a morire e a dar morte ad altri loro coetanei, penso all’assurdità della guerra e di quanto sia necessario trasmettere questo concetto attraverso la storia di questi due ragazzi, così differenti dai due marò di cui tutti si ostinano a parlare e perché figli del popolo e non soldati di mestiere. Ci auguriamo, nello spirito di un altro grande del nostro paese, il compianto Professor Russo, persona sensibile a queste tematiche, che la futura amministrazione possa fare qualcosa a riguardo dando un senso ad un sacrificio altrimenti vano.