Storie ottavianesi di sindaci “assenti” per doppio incarico e di sindaci “presenti”, ma che contavano come il “re del fagiolo”…

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J.Jordaens, Il re del fagiolo

Antonio Iervolino fu contemporaneamente primo cittadino e consigliere regionale. Nell’Ottocento la guerra tra il “capoluogo” e le frazioni portò, talvolta, all’elezione di sindaci che venivano pilotati da assessori e consiglieri. Proprio un sindaco sangiuseppese frenò la battaglia per l’autonomia di San Giuseppe.

 

Se passa la riforma di Renzi, si aprirà un nuovo “teatro” politico: sindaci senatori, vicesindaci e assessori chiamati a colmare il vuoto fatale prodotto dall’assenza “romana” del primo cittadino, invasioni di campo, palleggio delle responsabilità. Noi ottajanesi abbiamo già visto lo spettacolo, perché la nostra città, negli ultimi cento anni, è stata guidata almeno quattro volte da primi cittadini con un doppio incarico istituzionale.

Tra il 1985 e i primi mesi del 1986 l’avv. Antonio Iervolino fu, contemporaneamente, consigliere regionale e sindaco: lui e l’on. Mazzella, sindaco di Ischia, avevano abilmente trovato un cavillo giuridico che di fatto annullava il principio di incompatibilità tra le due cariche.Nel marzo del 1986 il segretario della sezione ottavianese della D.C. (c’era anche la sezione di San Gennarello) descrisse all’avv. Iervolino, in un documento ufficiale, una situazione su cui il sindaco- consigliere regionale aveva già esercitato la sua  riflessione: ma gli fece piacere che il segretario della sezione mettesse penna su carta e aprisse ufficialmente il dibattito, inviando la sua lettera anche ai consiglieri comunali della D.C.e ai membri del direttivo. “Alcuni assessori  approfittano dell’assenza del sindaco per dirigere i “loro” assessorati con un autoritarismo che farebbe impallidire anche Napoleone: l’aggettivo “mio” si spreca: “mio” assessorato, “mio” bilancio, perfino “mio” funzionario”.

Per qualcuno – notava il segretario- il doppio incarico dell’avv. Iervolino, sindaco e consigliere regionale, “è un terno al lotto: i meriti per le cose che funzionano sono di assessori e consiglieri rimasti in trincea a difendere gli interessi della comunità ottajanese, la colpa di disguidi, ritardi e inadempienze “lo sapete di chi è, cosa possiamo farci noi, se il sindaco va ogni giorno a Napoli?”. Ma a loro faceva piacere che il sindaco andasse ogni giorno a Napoli: quando il gatto non c’è…e dunque proprio gli “sparlettieri” che tagliuzzavano i panni addosso al sindaco assente lo incensavano quando era presente: “Tu devi continuare a fare il sindaco. Abbiamo bisogno di te, che sei timoniere esperto, che conosci scogli, secche e insidie del mare”. Erano ingenui come “sparlettieri” e come finti adulatori: Antonio Iervolino “è nato imparato”, è  nato con la bilancia in mano, ed era allergico ai salamelecchi, ai “chiochiari” e ai “ferlocchi”.  Quando capì che stava per scatenarsi una nuova guerra per l’autonomia della frazione, egli lasciò la poltrona di sindaco: il principio di incompatibilità tra le cariche di primo cittadino e di consigliere regionale aveva ripreso a funzionare , all’improvviso, spazzando via eccezioni e cavilli giuridici.

La guerra tra il capoluogo e le frazioni fece sì che nella seconda metà dell’Ottocento arrivassero a sedersi sulla poltrona di sindaco di Ottajano anche personaggi  degni del teatro di Eduardo, condannati ad essere “presenti” e, nello stesso tempo, “assenti” : stavano ogni giorno in municipio, non si allontanavano mai dal territorio, ma era come se non ci fossero, contavano quanto a briscola il due di coppe, o come il “re del fagiolo” del quadro di Jordaens. Per scegliere il capotavola di un banchetto, gli olandesi infilavano un fagiolo in una torta, che tagliavano in tante fette quanti erano i convitati maschi: chi nella sua fetta trovava il fagiolo, veniva incoronato e sedeva al posto d’onore, comandava le bevute, i canti e le danze, e si divertiva a far da zimbello e da pagliaccio.  Nell’autunno del 1873 Giuseppe Bifulco, sindaco di Ottajano, – uno dei più importanti-,  sacerdote, capo della potente famiglia di Terzigno,  seppe dagli amici della sottoprefettura di Castellammare che rapporti riservati della polizia lo accusavano di aver protetto i briganti della banda Pilone e di guidare un vero e proprio comitato d’affari di cui facevano parte importanti camorristi di Ottajano, di San Giuseppe e di Boscoreale, il fratello Ernesto, architetto, Luigi Casotti, consigliere comunale sangiuseppese e il terzignese Gennaro Uliano, mercante di vini e capo di un’impresa di trasporti, proprietaria di 12 carri  e di 28 muli. Questo comitato, secondo le lettere anonime, teneva le mani in ogni tipo di impasto: il mercato della seta e quello dei basoli e della pietra lavica, gli appalti per le opere pubbliche, il prestito di danaro e perfino il contrabbando delle armi. Credendo che il sindaco “sultano” stesse ormai con le spalle al muro – “sultano” lo chiamò l’autore di una lettera anonima riferendosi al fatto che al sacerdote piacevano, assai, le donne -, i consiglieri sangiuseppesi e alcuni consiglieri di Terzigno, ostili al Bifulco, fecero gruppo, attaccarono la politica del sindaco, da sempre contrario all’autonomia di San Giuseppe, “dichiararono apertamente che il loro programma era di investire tutte le risorse del Comune a vantaggio della frazione San Giuseppe” e costrinsero i sei consiglieri del Capoluogo a protestare duramente, con un documento ufficiale dell’ottobre del ’73, contro gli “sconci e le ingiustizie che giornalmente si commettono a danno” del “Centro di Ottajano”.

Giuseppe Bifulco, per non farsi cuocere a fuoco lento, prima si mise in congedo, e venne sostituito dall’architetto ottajanese Vincenzo del Giudice, poi diede le dimissioni, ma attraverso gli amici della Sottoprefettura di Castellammare fece in modo che la poltrona di sindaco venisse affidata a Luigi Casotti, sangiuseppese, sì, ma prima di tutto uomo di fiducia del “sultano”. E poiché la fiducia in politica è “ballerina”, quando si calmarono le acque e a Castellammare e a Napoli le carte che parlavano male di Bifulco e dei suoi amici vennero affondate nelle tenebre di archivi inaccessibili, il sacerdote dalle molte passioni si nominò assessore del sindaco che lui stesso aveva nominato e trovò il modo di vendicarsi dei consiglieri sangiuseppesi. La sua fu una vendetta elegante,  segnata dalla carità cristiana come si addice a un uomo di Chiesa: egli convinse – sarà interessante scoprire in che modo li convinse- tre importanti consiglieri della frazione a rinunciare al progetto dell’autonomia e a seguire la via dell’unità e della pace. Accadde così che proprio un’amministrazione guidata da un sindaco sangiuseppese non inserisse nel suo programma la battaglia finale per l’autonomia di San Giuseppe. Luigi Casotti seppe essere” presente” e, contemporaneamente, “assente” con tale efficacia che nel 1876 meritò la proroga del suo mandato.

Per fortuna, oggi possiamo considerare conclusa per sempre anche la guerra tra Ottajano e la frazione superstite, San Gennarello.  Tra qualche giorno vedremo come e perché oggi regna la pace, finalmente.